A commento della festa liturgica della Pentecoste, la scelta canonica dovrebbe cadere su “La Pentecoste” di Alesandro Manzoni: un “Inno sacro” dal grande respiro religioso, che porta però sulle spalle il fardello del ricordo di studi liceali non sempre invitanti. Scelgo invece questa breve poesia di Mario Novaro, un autore non ufficiale, poco noto anche ai suoi tempi, che traccia un paesaggio essenziale, metafisico, nel nome sacro della Pentecoste.
Pentecoste
Pentecoste
campane del pomeriggio
lucido verde al sole
turchino di mare con sparse vele
nuvole chiare
delle selve d’ulivi respiro mite
e le campane
con tocchi chiari blandi
oh come tutto sarebbe felice
se potesse vanire
nel blando suono
delle campane.
(Mario Novaro, da “Murmuri ed echi”, 1912, nuova ed. 1919)
Mario Novaro (Diano Marina, Imperia, 1868 – Oneglia, Imperia 1944) è stato uno dei poeti che si sono ispirati all’aspro paesaggio ligure, derivandone un linguaggio scabro, essenziale, come di pietra corrosa dal mare: è lo stesso paesaggio di cui si farà interprete Eugenio Montale.