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Voci Parrocchiali – I commenti della settimana

maria rosa tabellini partini

San Paolo e Seneca in sintonia

Che Paolo di Tarso e il filosofo Seneca abbiano avuto notizia l’uno dell’altro è verisimile ma non documentabile: erano coevi, e si trovarono a Roma negli stessi anni. Inoltre, si possono riscontrare elementi analoghi nei loro scritti: analogie a tal punto suggestive, che fin dall’antichità circolò un carteggio attribuito ai due intellettuali, ma assai probabilmente apocrifo (per quanto ancora adesso ci siano degli irriducibili sostenitori dell’autenticità di alcune lettere tra Seneca e Paolo).
Senza entrare in dispute filologiche, mi limito qui a riportare un brano di Seneca che ben si confà al passo della seconda lettera ai Corinzi che costituiva la seconda lettura della liturgia di domenica 10 giugno:
«se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (Ad Cor. 4, 16)

Don Sergio, rivolgendosi ai “settantenni” presenti alla messa di stamani, ha voluto smorzare l’effetto deprimente di quel «disfacendo», effetto peraltro – a nostra consolazione – più presente nella traduzione italiana che non nel greco “diaphtheíretai”, che può voler dire anche solo “si altera” (il che suona meno letale). Io vi aggiungo, a sostegno e augurio, un brano di una Epistola ad Lucilium.

Seneca, dopo essersi lamentato della propria età avanzata (anzi, della propria “decrepitezza”), aggiunge immediatamente una distinzione tra l’ineludibile declino del fisico e l’energia dell’animo, arrivando quindi a rivalutare pienamente l’età avanzata. Ecco il passo in latino e in traduzione.

«Gratias tamen mihi apud te ago: non sentio in animo aetatis iniuriam, cum sentiam in corpore. Tantum vitia et vitiorum ministeria senuerunt: viget animus et gaudet non multum sibi esse cum corpore; magnam partem oneris sui posuit. Exsultat et mihi facit controversiam de senectute: hunc ait esse florem suum». (Seneca, Ep. Luc. XXVI).

«Tuttavia non ti nascondo di essere grato a me stesso: sento che la lunga età mi ha arrecato danno al corpo, ma non nell’animo. Soltanto invecchiarono i vizi e i loro addetti: l’animo è valido e si compiace di avere scarse relazioni col corpo; esso ha deposto gran parte del suo peso. È pieno di gioia e discute con me della vecchiezza affermando che quest’età costituisce per lui il fiore della vita. Prestiamogli fede: goda pure del suo bene». (Trad. di U. Boella, Lettere a Lucilio, Torino 1969)

 

 

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