Vorrei soffermarmi sulla festività di oggi, 15 agosto: giorno dedicato alla Vergine Maria, e festa particolare per la città di Siena che alla Madonna è consacrata fin dall’età medioevale.
Scelgo quindi una poesia di Mario Luzi, un poeta dal forte sentimento civile e insieme cristiano. Si tratta di una lirica dai contenuti profondi: è una preghiera che Simone Martini rivolge alla Vergine che egli stesso ha dipinto nel grande affresco della Maestà nel Palazzo pubblico di Siena, una rappresentazione di bellezza sublime che tutti i Senesi conoscono.
Rimani dove sei, ti prego,
così come ti vedo.
Non ritirarti da quella tua immagine,
non involarti ai fermi
lineamenti che ti ho dato
io, solo per obbedienza.
Non lasciare deserti i miei giardini
d’azzurro, di turchese,
d’oro, di variopinte lacche
dove ti sei insediata
e offerta alla pittura
e all’adorazione,
non farne una derelitta plaga,
primavera da cui manchi,
mancando così l’anima,
il fuoco, lo spirito del mondo.
Non fare che la mia opera
ricada su se medesima,
diventi vaniloquio, colpa.
(da Mario Luzi, “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”, Garzanti, Milano, 1994)
Mario Luzi (1914-2005) aveva frequentato il ginnasio a Siena, e dalla città della sua adolescenza aveva conservato un’impressione indelebile: in particolare era stato catturato dalla bellezza delle Madonne dipinte dai pittori senesi medioevali.
Il “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini” è un poema solenne composto di frammenti lirici e pervaso da personaggi, da luoghi, da rievocazioni, in cui il poeta e il pittore idealmente coincidono nella tensione del ritorno a una Siena che è allo stesso tempo reale e simbolica. Il poeta immagina che Simone Martini nel 1344, già gravato del presentimento della morte, ritorni da Avignone alla sua città natale come in un ultimo viaggio conoscitivo alle origini della propria arte. Simone prega la Vergine di restare così come egli l’ha dipinta nella sua giovinezza, con i lineamenti fermi che egli le ha dato, con quei colori d’azzurro e d’oro, di lacche variopinte: altrimenti tutto ciò che egli ha creato nella pittura (e tutto ciò che anche il poeta ha creato con la scrittura) si trasformerà in una derelitta plaga, in una assenza di primavera e di anima che farebbero ricadere l’opera dell’artista su se medesima, riducendola a vaniloquio, addirittura a colpa. (Maria Rosa Tabellini Partini)