L’amore nonostante tutto
Etty Hillesum, giovane ebrea olandese, nell’estate del 1942, l’anno prima di essere deportata ad Auschwitz dove avrebbe trovato la morte, scriveva sul suo diario pagine piene di amore, di lotta, di poesia, e di silenzio. Pubblicato solo molto più tardi, il Diario è la testimonianza di una conquista: quella dell’amore senza condizioni per la vita, per gli altri. Perché Etty conosce quello cui sta andando incontro, ma non smette mai di credere che l’amore e la vita abbiano un senso.
Domenica mattina [28 giugno 1942], le nove
«Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui. So quel che ci può ancora succedere. Le ultime notizie dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall’Olanda in Polonia, passando per il Drenthe. E secondo la radio inglese, dall’aprile scorso sono morti 700.000 ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare insensata la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.
E resterò a scrivere a questa scrivania fino all’ultimo minuto, e a credere in ogni poesia che leggerò…»
(Etty Hillesum, Diario, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Ada Vigliani, Adelphi, Milano 2012)
La vita di Etty Hillesum, giovane ebrea morta ad Auschwitz, è diventata l’emblema del cammino di una donna che, oltre tutti i fili spinati, oltre l’odio e gli orrori del suo tempo, ha voluto cercare e liberare il divino che è in ciascuno di noi. Nata nel 1919 a Middelburg, Etty passa l’adolescenza a Deventer, nel cui liceo il padre insegna lettere classiche. Dopo la laurea in giurisprudenza ad Amsterdam, spinta dagli interessi molteplici, si applica agli studi di psicologia. Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, lavora come assistente sociale nel campo di transito di Westerbork, allestito prima per gli ebrei in fuga dalla Germania, poi trasformato in campo di concentramento dai nazisti dopo l’occupazione dell’Olanda. Qui verranno internati i componenti della sua famiglia, e qui rimarrà anche Etty. Restare nel campo è il suo desiderio, vuole condividere il destino della sua gente, e non accetterà mai i tentativi di fuga che le verranno suggeriti. Quando il 7 settembre 1943 Etty sale sul treno che da Westerbork la porterà ad Auschwitz insieme ai genitori e a un fratello, ha con sé, nello zaino, la Bibbia e una grammatica russa, la lingua della madre. Scrive a un’amica una cartolina che lascia cadere dal treno: “Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro”. Muore ad Auschwitz due mesi dopo, il 30 novembre 1943.
MRT