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DON SERGIO – CENNI STORICI ALLA I^ LETTURA DI MERCOLEDI' 25 MARZO – ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

CENNI STORICI ALLA PRIMA LETTURA DELLA LITURGIA DI MERCOLED’ 25 Marzo 2020 – Annunciazione del Signore
Dal I^ Libro del profeta Isaia
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: “Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto”.
Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”.
Allora Isaia disse: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio é con noi”.

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1 comment

  1. Annunciazione

    Per la ricorrenza dell’Annunciazione, riporto una poesia di Mario Luzi. È una lirica densa di immagini, che appartiene al periodo ermetico del poeta, oscura in alcuni punti ma di grande suggestione. Pur essendo stata scritta nel 1935, offre inaspettatamente degli spunti che si attagliano ai tempi funesti che ci opprimono. Vi si coglie per così dire un passaggio, e una speranza: che dopo un periodo chiuso e oscuro, che vede «spenti i desideri» e ardere una «vampa tetra», mentre nei paesi imperversa «la bianca scia delle tempeste», la Vergine riporti il suo sorriso. «È un’Annunciazione – ha dichiarato Luzi – colta nel suo movimento».
    Maria era una figura molto amata da Luzi: in una conversazione con l’amico e critico Mario Verdino, la definiva «la carità creaturale, che è il tratto più distintivo del cristianesimo» (lo si legge in “Porta del cielo”, Piemme, Casale Monferrato 1997).
    Custodiamo nel cuore, come un augurio, lo splendido verso: «Poi fu il tempo che il tuo volto sorrise», in attesa di questo passaggio, anche se non sarà tanto presto. (Maria Rosa Tabellini)

    Mario Luzi

    Annunciazione

    La mano al suo tepore abbandonata,
    nelle lacrime spenti i desideri,
    forse è questa una donna: un tempo esangue,
    nell’ombra la bontà opaca di ieri:

    tra le voci dirotte dell’infanzia
    nei giardini cui fu tetra la vampa
    i venti sterminati s’effigiavano
    nelle mani con una luce rancia;

    le nuvole alternavano la sorte
    dai cristalli alle vergini funeste,
    nei paesi l’angoscia delle porte
    sotto la bianca scia delle tempeste.

    Poi fu il tempo che il tuo volto sorrise
    lieve sui luminosi erebi d’ansia,
    altrimenti sulle deserte ghise
    ora il cielo fingeva le sue ruote.

    Poi di Luna un inane fianco rosa
    tese al vento gremito del tuo nome
    la caducità bianca di chiome,
    quella povera luce che ci opprime.

    (Da “La barca”, in M. Luzi, Poesie, Garzanti, Milano 1974)

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