Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina… (Mt 21,5)
Nel vasto e vario zoo compreso nella Bibbia (dal lupo all’agnello, dal serpente alla vacca, dal corvo alla colomba, alle creature fantastiche come il leviatano), l’asino è uno degli animali più spesso nominati. Compagno di lavoro dell’uomo, cavalcatura per tutti senza distinzione sociale, l’asino rappresenta l’umiltà e il servizio, ma anche la saggezza (l’asino di Balaam riconosce infatti prima del suo padrone la presenza dell’Angelo di Dio sulla strada, come si legge in Numeri 22,21-33). L’asino accompagna inoltre la vita di Gesù scandendone i passaggi fondamentali, dalla fuga in Egitto fino all’ingresso in Gerusalemme tra una folla festante (ma che ben presto avrebbe mostrato i propri mutevoli umori). Francesco volle metterlo infine nel presepe accanto a Gesù, consacrandone il significato cristiano.
Francis Jammes (1868 – 1938), poeta francese appartenente alla corrente del simbolismo ma alieno dalla visionarietà allucinata di Baudelaire, ha composto poesie incentrate sulla contemplazione della natura, tra cui alcune in forma di preghiera serena e “umana”, senza pretese di misticismo. Come questa, in cui esprime il suo desiderio di «andare in Paradiso con gli asini»: in Paradiso, certo, ma non confidando su meriti speciali, bensì per forza di cose, «ché non c’è inferno al paese di Dio». Ed è infatti un Paradiso mite, in cui si contempla «l’umile, la dolce povertà», degno di quegli animali che «abbassano la testa / dolcemente, e fermandosi congiungono /dignitosi e strazianti i piccoli piedi». (Maria Rosa Tabellini)
Preghiera per andare in Paradiso con gli asini
di Francis Jammes
Quando tempo sarà di ritornare a voi, mio Dio,
vorrei splendesse un giorno di siepi polverose.
Sceglierei, come in terra, una strada ove andare
a mio talento, divagando, verso
il vostro paradiso straripante
di stelle in pieno giorno.
Col mio bastone andrò lungo la via maestra
e agli asini dirò, miei grandi amici:
io sono Francio Jammes e vado in Paradiso,
ché non c’è inferno al paese di Dio.
Dirò: del cielo azzurro
soavi amici venite, accompagnatemi,
povere bestie che girando il muso
o con colpi di orecchie vi schermite
dalle mosche avide, da frustate e api.
Che vi compaia innanzi a tutte quelle bestie
che amo perché abbassano la testa
dolcemente, e fermandosi congiungono
dignitosi e strazianti i piccoli piedi.
Mi seguiranno migliaia di orecchie:
di chi portò pesanti bigonce appese ai fianchi
o tirò il carrozzone ai saltimbanchi
o trabiccoli in latta e pennacchi,
e altri che gravarono acciaccati bidoni,
asine che zoppicarono, più gonfie di palloni,
e altri che coprivano cenciosi mutandoni
per vie di piaghe gocciolanti, livide,
in un cerchio di mosche testarde.
Con questi asini, Dio, fate che a voi ritorni.
E che in pace profonda angeli ci conducano
verso ruscelli ombrosi, e ridano ciliegie
più lisce della guancia alle fanciulle,
fate che in quel reame delle anime,
curvo sull’acqua sacra io stia come gli asini
a contemplare l’umile, la dolce povertà
nell’amoroso cerchio della vostra eternità.
[da Poeti del Novecento italiani e stranieri, a cura di Elena Croce, Einaudi, Torino 1960]