VEGLIATE DUNQUE: VOI NON SAPETE QUANDO IL PADRONE DI CASA RITORNERÀ (MC 13, 33)
Sono numerose le esortazioni a vegliare che Gesù rivolge ai suoi discepoli, e lo fa con forza in particolare nel passo del Vangelo di Marco, 13, 33-37, parlando nella prospettiva del fine ultimo: State all’erta – dice – perché il ritorno del Figlio dell’uomo è imprevedibile.
Vegliare, rinunciare al sonno, stare in guardia sono espressioni che assumono un valore metaforico ben definito anche al di fuori del contesto propriamente neotestamentario, laddove alludono all’importanza di vivere la vita con la consapevolezza che sia un dono prezioso. Questa poesia di Angelo Maria Ripellino esprime limpidamente il significato della “vigilanza” da un punto di vista laico e profondamente umano: «Vivere è stare svegli», dice.
Angelo Maria Ripellino
VIVERE È STARE SVEGLI
Vivere è stare svegli e concedersi agli altri, dare di sé sempre il meglio, e non essere scaltri.
Vivere è amare la vita con i suoi funerali e i suoi balli, trovare favole e miti nelle vicende più squallide.
Vivere è attendere il sole nei giorni di nera tempesta, schivare le gonfie parole, vestite con frange di festa.
Vivere è scegliere le umili melodie senza strepiti e spari, scendere verso l’autunno e non stancarsi d’amare.
(da “Non un giorno ma adesso”, in “Poesie. 1952-1978”, Einaudi, Torino 1990)
Angelo Maria Ripellino (1923-1978) è stato una personalità intellettuale poliedrica: saggista, poeta, studioso e docente di slavistica, appassionato di teatro e di musica, era profondamente legato alla città di Praga, alle sue tradizioni artistiche intrise di fantasia, di magia, di leggende. A Praga aveva soggiornato molte volte a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, quando vi aveva stretto durature amicizie, in particolare nell’ambiente teatrale, e vi aveva conosciuto Ela, che sarebbe diventata l’amata compagna di tutta la vita e, dopo la morte di lui, la custode affettuosa dei suoi scritti. Già nella giovinezza gli si erano manifestati i sintomi della tubercolosi, malattia vissuta come presenza incombente, che Ripellino chiamava «malsanía» e che lo porterà a morire a soli 55 anni. La salute compromessa non smorzò tuttavia la sua fede nella vita, alla quale Ripellino guardò sempre con occhi limpidi, senza infingimenti, pronto sia a coglierne le gioie nascoste sia ad accettarne i dolori, che per lui erano rappresentati dalla malattia subdola, e per l’amata Praga si materializzarono quando, nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, le truppe sovietiche invasero la Cecoslovacchia allo scopo di stroncare la stagione di riforme passata alla storia come la “primavera di Praga”. Allora i carri armati sovietici spazzarono via il sogno della città amata, della città del teatro e dell’immaginazione, e Ripellino lo visse come un lutto.
Questi temi sono già tutti presenti nella lirica riportata sopra, scritta nel 1960. È una poesia assai semplice alla lettura, che si snoda in quattro quartine scandite dall’affermazione «Vivere è», che modulano, grazie alle rime facili e alle assonanze ripetute, un ritmo di danza gentile. Il poeta ribadisce ciò che egli intende per “vivere” attraverso una molteplicità di variazioni: vivere è cogliere ad occhi aperti le potenzialità della vita con uno stupore quasi infantile («non essere scaltri»), concedersi con generosità agli altri, aspettare con pazienza il ritorno del sole «nei giorni di nera tempesta», amare la vita per quello che è, «coi suoi funerali e i suoi balli», prediligere la melodia sommessa dell’esistenza, ossia quella «senza strepiti e spari», schivando le borie delle «gonfie parole», e avviarsi a congedarsi da essa («verso l’autunno») senza mai «stancarsi d’amare». (Maria Rosa Tabellini)