Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui, alla fine della seconda guerra mondiale – i cancelli di Auschwitz vengono abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico. Il complesso di campi di concentramento che conosciamo come Auschwitz non era molto distante da Cracovia, in Polonia, e si trovava nei pressi di quelli che erano all’epoca i confini tra la Germania e la Polonia. Con l’avvicinarsi dell’Armata Rossa, già intorno alla metà di gennaio, le SS iniziarono ad evacuare il complesso: circa 60.000 prigionieri vennero fatti marciare prima dell’arrivo dei russi. Di questi prigionieri, si stima che tra 9000 e 15000 sarebbero morti durante il tragitto, in gran parte uccisi dalle SS perché non riuscivano a reggere i ritmi mostruosi della marcia. Altri prigionieri, circa 9000, erano stati lasciati nel complesso di campi di Auschwitz perché malati o esausti: le SS intendevano liquidarli, ma non ebbero il tempo necessario per farlo prima dell’arrivo dei sovietici.
UNA POESIA PER IL GIORNO DELLA MEMORIA: AMSTERDAM DI VITTORIO SERENI
Amsterdam
A portarmi fu il caso tra le nove
e le dieci d’una domenica mattina
svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra
lungo il semigelo d’un canale. E non
questa è la casa, ma soltanto
– mille volte già vista –
sul cartello dimesso: «Casa di Anna Frank».
Disse più tardi il mio compagno: quella
di Anna Frank non dev’essere, non è
privilegiata memoria. Ce ne furono tanti
che crollarono per sola fame
senza il tempo di scriverlo.
Lei, è vero, lo scrisse.
Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale
continuavo a cercarla senza trovarla più
ritrovandola sempre.
Per questo è una e insondabile Amsterdam
nei suoi tre quattro variabili elementi
che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi
tre quattro fradici acerbi colori
che quanto è grande il suo spazio perpetua,
anima che s’irraggia ferma e limpida
su migliaia d’altri volti, germe
dovunque e germoglio di Anna Frank.
Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam.
(da V. Sereni, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1986)
“Amsterdam” appartiene alla raccolta “Gli strumenti umani” (1965), un libro che occupa una posizione eminente nella storia della lirica del Novecento. Vittorio Sereni traccia qui una sorta di diario di viaggio: un quadro della capitale olandese, descritta con tratti sobri e incisivi che ne disegnano il replicarsi di colori e canali, su cui emerge, quasi scaturita casualmente, la memoria di Anna Frank, la ragazzina ebrea che durante l’occupazione nazista visse nascosta con la famiglia in una casa di Amsterdam per poi essere alla fine scoperta e deportata ad Auschwitz, poi a Bergen-Belsen dove morì di tifo, come la sorella Margot. La memoria emerge dal passato; ma non è più quella privata del poeta che aveva nutrito le prime raccolte: ora è la memoria della shoah, che ha segnato per sempre la storia collettiva dell’Europa. Il fatto che Anna abbia testimoniato nella scrittura la sua esperienza costituisce un di più rispetto a quelli che non lo hanno fatto: Anna, infatti, ha lasciato una traccia a nome di tutti, ed è per questo che la si può incontrare di nuovo in ogni parte di Amsterdam e nei volti di coloro che non intendono dimenticare («anima che s’irraggia ferma e limpida/ su migliaia d’altri volti»). La città riflette la casa di Anna Frank e tutte le altre case in una miriade di canali, in cui si rifrangono milioni di destini individuali: «Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam». Sull’apparente immobilità dei canali si specchia anche l’esperienza del poeta e dell’uomo contemporaneo, oppresso dalla memoria della storia tragica del Novecento da cui non può né deve liberarsi.
La poesia parla anche a noi, adesso. Ora che, per legge di natura, vengono via via meno i testimoni diretti, spetta infatti alle generazioni successive perpetuare la memoria di quella tragedia immane: una tragedia che non ha eguali nella storia e che non dev’essere né dimenticata né sminuita. Perché chi dimentica Auschwitz permette che Auschwitz ritorni.
(Maria Rosa Tabellini)