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Canto dell’esodo UNA POESIA DI SALVATORE QUASIMODO (m.r.t.)

LA LITURGIA DI DOMENICA 14 MARZO 2021

Il canto degli esuli nella poesia di Quasimodo

Sui fiumi di Babilonia, / là sedevamo piangendo / al ricordo di Sion. / Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto /coloro che ci avevano deportato, / canzoni di gioia, i nostri oppressori: / «Cantateci canti di Sion!». / Come cantare i canti del Signore / in terra straniera? (Salmo 136, 1-4). Il salmo che si legge nella liturgia di domenica 14 marzo esprime drammaticamente il dolore dei deportati dalla Città Santa, dopo che era stata conquistata e distrutta dai Babilonesi. Tornati a Gerusalemme, tra le macerie della città, gli Israeliti ricordano la tristezza e le umiliazioni subite durante l’esilio in Babilonia.

Del salmo 136 Salvatore Quasimodo riprende motivi e immagini adattandoli al presente in una poesia celebre, pubblicata nel 1947 nella raccolta Giorno dopo giorno, che segna il passaggio del poeta all’impegno civile. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo, i poeti che avevano preferito rifugiarsi nella raffinatezza formale e antistorica dell’Ermetismo erano satati criticati per essere rimasti in silenzio di fronte agli orrori della dittatura e della guerra. Quasimodo risponde alla critica rivendicando il valore di quel silenzio: non era un segno di vigliaccheria, ma una scelta consapevole e critica.

ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

(S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, Milano 1983)

Tutta la prima parte del testo si presenta come una lunga domanda retorica («E come potevamo noi cantare…») che elenca gli aspetti più atroci della storia recente: la violenza dell’occupazione nazista («il piede straniero sopra il cuore»), la ferocia delle ritorsioni nei confronti delle azioni partigiane («i morti abbandonati nelle piazze»), il sacrificio degli innocenti espresso attraverso la formula religiosa del «lamento / d’agnello dei fanciulli», quindi l’«urlo nero», che riproduce con una sinestesia potente lo strazio della madre alla vista del «figlio / crocifisso sul palo del telegrafo» (ed è un’immagine che richiama alla mente certe raffigurazioni plastiche della deposizione di Cristo). La risposta alla domanda è contenuta nella scena conclusiva delle «cetre» appese ai salici, che «oscillavano lievi al triste vento» (della Storia). Fuor di metafora significa che poeti, ammutoliti di fronte alla violenza della guerra, non potevano fare altro che tacere, né potevano trarre ispirazione a comando.
Grazie al cortocircuito tra antico e moderno, il riferimento al salmo permette di dare autorevolezza e solennità alla scelta del silenzio, che acquista valore etico perché diventa il paradigma di una condizione universale di sofferenza, quando uomini e donne siano costretti a vivere senza dignità e libertà, impotenti di fronte al Male.
Per una delle frequenti contraddizioni della Storia, la terra opulenta di Babilonia era, sì, il luogo dell’esilio per gli Israeliti, e prima ancora la terra della superbia visionaria rappresentata dalla torre di Babele, ma era stata anche la patria di Abramo. Da quella terra Abramo partì obbedendo al comando di Dio, e non la rivide più.

È una terra che oggi si chiama Iraq, mosaico di etnie diverse destinate – sembra – a combattersi sempre, e allo stesso tempo tanto ricca da attirare le mire di molti: l’oro, le perle e le pietre preziose di Apocalisse 18, 16 si sono tramutati nell’oro nero di adesso. In Iraq si è recato papa Francesco, pochi giorni fa, nel marzo 2021 in piena pandemia, con un viaggio coraggioso quanto rischioso, per ribadire il valore della pace. «Sono venuto come pellegrino» ha detto, confermando in tal modo la specificità di quella terra di esuli fin dai tempi della Bibbia.
(Maria Rosa Tabellini)

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