PER PASQUA: AUGURI A UN POETA (Carlo Betocchi )
a Giorgio Caproni
Giorgio, quante croci sui monti, quante,
fatte d’un po’ di tutto, di filagne
che inclinate si spaccano, di scarti,
ma croci che respirano nell’aria,
in vetta alle colline, dove i poveri
hanno anch’essi un colore d’azzurro,
la simile cred’io l’ebbe Gesù,
non già di prima scelta, rimediata
tra’ rimasugli d’un antro artigiano,
commessa con cavicchi raccattati,
eppure estrosa, ed alta, ed indomabile
e tentennante com’è la miseria:
ecco la nostra Pasqua onde ti manda
il mio libero cuore quest’auguri
pensando che non è per l’occasione
ma per quella di sempre, che si salva
dalle occasioni, del cuor che non soffre
che del non amare, e sempre sta in croce
con un cartiglio fradicio che in vetta
dice: È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore.
(C. Betocchi, “L’Estate di San Martino”, Mondadori, Milano 1961)
Il Prof. Giuseppe Langella, in questo pillola per Poetando, propone una poesia di Carlo Betocchi inviata come messaggio augurale all’amico poeta Giorgio Caproni nel periodo pasquale. Buon ascolto
lto.
Un poeta che invia gli auguri di buona Pasqua in versi a un altro poeta è cosa piuttosto rara, tanto più se l’augurio travalica di gran lunga i limiti di una poesia d’occasione. Perché ne nasca un testo intenso e sincero, bisogna che fra i due poeti ci sia una naturale tendenza alla modestia e una consonanza che elimini ogni fraintendimento. È ciò che il poeta Carlo Betocchi riconosceva in Giorgio Caproni, il destinatario della poesia e “fratello” in sobrietà e grandezza, se pur distante nel modo di intendere la fede: Betocchi era incline a esibirla trasferendola in poesie che spesso suonano come preghiere, Caproni a farne oggetto di una ricerca intima e costantemente delusa.
Questa poesia, che ha il passo ritmato dagli endecasillabi riuniti in terzine, si apre su un paesaggio punteggiato di croci: sono le croci di legno un po’ sconnesse e dilavate dalle intemperie che si incontrano sui sentieri di montagna; croci povere come doveva essere la croce di Gesù, «rimediata» dagli scarti di una botteguccia di falegname, messa insieme con chiodi di seconda mano, «eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com’è la miseria». C’è, in questa esaltazione problematica della povertà, il tratto tipico dei poeti e degli scrittori del secondo dopoguerra, che nella povertà, o comunque nella limitatezza delle risorse, individuavano una sorta di garanzia di libertà e il requisito più adatto per “sentire” la natura e, di conseguenza, la poesia.
È proprio in nome dell’elevatezza riconosciuta alla povertà che Betocchi manda all’amico poeta il suo augurio, che «non è per l’occasione / ma per quella di sempre», ovvero non per una casuale festività, ma per una condizione esistenziale costante: quella espressa dalla misera croce di Cristo e dal cartiglio marcito che la sovrasta, che si traduce nella incessante ricerca di quell’amore che il mondo si ostina a rifiutare.
In questa Pasqua 2021 che, ancora in piena pandemia, ci vede braccati da una minaccia insidiosa e oscura, eppur presente e percepibile financo nella diffidenza che si insinua nei rari ma inevitabili (per fortuna) rapporti sociali, vale anche per noi l’augurio espresso da questa poesia che non dimentica le tante croci (le tante bare contate ogni giorno…), ma sa trarne lo spunto per leggervi «in vetta» un invito inesausto a non chiuderci all’ascolto degli altri.
(Maria Rosa Tabellini)