DOMENICA 25 – GIORNATA MONDIALE DEI NONNI E DEGLI ANZIANI
Una poesia per i vecchi che un tempo furono giovani pieni di vita, e che adesso si specchiano nello sguardo e nella memoria dei loro cari.
Il poeta è passato a trovare suo padre in una casa di riposo di una piccola città di montagna. Nella poesia lo ripensa giovane, pieno di forze e di futuro come gli altri vecchi che, insieme a lui, furono ragazzi «liberi e scalzi» e con «le tasche piene di sassi».
La poesia gravita intorno ai nomi dei personaggi che hanno determinato la microstoria di Chiusaforte, un paese in cima a un colle nella punta estrema nord-orientale d’Italia. Il poeta conferisce un’importanza particolare alla parola precisa, e cita ad uno ad uno i nomi di coloro che stanno in una casa di riposo «raccolti come le foglie nel parco»: elenca nomi comuni di persone comuni, anche i nomi “anonimi” di quelli che, «sono stati bambini che hanno detto domani». Tutti sono fissati in un gesto minimo che ne ha caratterizzato l’esistenza, e tutti hanno una propria sacralità atavica, a rappresentare una coralità di vivi e di morti. Questa poesia, così intensa di affetto e di memoria, vorrei fosse intesa come un piccolo risarcimento per i tanti anziani morti durante la pandemia, i cui nomi sono stati sostituiti dai numeri delle statistiche.
I VOSTRI NOMI Ieri sono passato a trovarti, papà, la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali, l’odore di inverno sulle tempie a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre e le fontane sono ghiacciate penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù ad accatastare legna con cura e non in luoghi come questi la casa di riposo con la pista per le bocce dove state raccolti come le foglie nel parco uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate. Dicevate domani, dicevate questo è il figlio e con il silenzio del fischio nella bufera i vostri nomi sono andati via voi che siete stati popolo e ombra remissione e forza il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello di Alfredo, l’artigliere o quello di quelli che, come te, sono stati bambini che hanno detto domani. E adesso non è troppo dire quanto poche sono le foglie cadute sui giorni di novembre per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene tutto il poco possibile è qui, nei vostri corpi piegati come l’ulivo sulle vostre facce di monete graffiate in questo spazio, in questo tempo confusi come il cielo e la terra quando nevica, e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani, la sua luce sulla soglia è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei questo pensarvi vivi, liberi e scalzi le tasche piene di sassi, la memoria di voi che trema in noi come una stella incoronata di buio.
Pierluigi Cappello
(Pierluigi Cappello, Azzurro elementare, poesie 1992-2010, Rizzoli, Milano 2013)
Nato a Gemona nel 1967, Pierluigi Cappello è cresciuto a Chiusaforte, in una casa costruita pietra su pietra, con immensa fatica dai suoi antenati. Non aveva ancora nove anni quando, alle 21 del 6 maggio 1976, la prima scossa del violento terremoto del Friuli abbatté la vecchia casa. Tutto cambiò e iniziò una sorta di nuova normalità: normale avere avuto parenti morti, normale vivere in baracche di legno… Ciò non distolse tuttavia Pierluigi dalla passione per la letteratura coltivata fin dall’infanzia. Ma si appassionò anche al volo e all’atletica (era un centometrista). Aveva sedici anni quando, un pomeriggio, accettò un passaggio in moto da un amico, la moto uscì di strada e si schiantò su una roccia. L’amico perse la vita, Pierluigi riportò lesioni gravissime, che hanno trasformato la sua esistenza in un calvario ospedaliero e l’hanno costretto per sempre su una sedia a rotelle. Nonostante la limitazione impostagli nel fisico, ha saputo trasformare la disgrazia in un nuovo valore, accresciuto dalla sensibilità acquisita attraverso il trauma. Ha continuato a studiare e a scrivere, diventando una delle voci più limpide della nostra poesia. Il 1° ottobre del 2017, appena oltre il traguardo del cinquantesimo compleanno, Pierluigi si è spento, ma la sua opera rimane a testimoniare la sua intelligenza e la sua sconfinata, tenace umanità. [Maria Rosa Tabellini]