Il mito di Filemone e Bauci narra la vicenda d’amore di una famiglia povera della Frigia che viveva sì in povertà, ma in perfetta armonia ed in virtuosa disposizione di spirito.
ORARIO LITURGIE - CORSI PRE MATRIMONIALI - CATECHISMO
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RESOCONTO PARROCCHIA DI SAN MINIATO ALLE SCOTTE - ANNO 2021
RENDICONTO PARROCCHIA 2021
Parrocchia promotrice della Onlus " a riveder le stelle -Onlus per l'Africa"
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PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA CON DON BENEDETTO E DON SERGIO
2020 - PELLEGRINAGGIO RACCONTATO DA UN PELLEGRINO POETA "RENATO" E VIDEO PARTI I E II
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Aiuti alimentari dai Terziari Francescani dell'Osservanza Attualmente ( 01/07/2022) assistiamo n. 48 famiglie, fornendo settimanalmente un pacco viveri, frutta e verdura quando disponibili.

Epifania 2021 Le calze della Befana da "Noi Siena"

GIANCARLO DEFENDI ha realizzato l'altare e l'ambone nella restaurata chiesa del Corpus Domini

GIANRICCARDO PICCOLI ha realizzato le opere poste ai lati dell'abside nella restaurata chiesa del Corpus Domini.
Elaborano il tema del Corpus Domini nella circolarità della Carne che si fa pane ed il pane che é Gesù, si fa carne.
Pier Luigi Olla

Pierluigi Olla nel suo studio
IL FONTE BATTESIMALE - REALIZZAZIONE DI GIANCARLO DEFENDI
Il mito di Filemone e Bauci narra la vicenda d’amore di una famiglia povera della Frigia che viveva sì in povertà, ma in perfetta armonia ed in virtuosa disposizione di spirito.
21 GIUGNO FESTEGGIATI I 50 ANNI DI SACERDOZIO DI DON SERGIO - IL GRUPPO DEI FESTEGGIANTI ED IL SALUTO DELL'ARCIVESCOVO MONS. PAOLO AUGUSTO LOJUGICE
Vernacoliere del Curato
Vernacoliere del Curato
Non giudicare dalle apparenze – La trasfigurazione – ACCIO IL PAGLIACCIO

Non far piangere una donna (Talmud)
Insegnamento di Gesù
“State molto attenti a non far piangere una donna:
poi Dio conta le sue lacrime!
La Donna é uscita dalla costola dell’uomo,
non dai suoi piedi perché debba essere pestata,
né dalla testa per essere superiore,
ma dal fianco per essere uguale…….
un pò più in basso del braccio per essere protetta
e dal lato del cuore per essere amata.
Gli Alpini con la Caritas parrocchiale
Il gruppo Alpini di Siena collabora con la Caritas parrocchiale per le raccolte alimentari
UNA BELLA POESIA DEL MESE DI OTTOBRE- FILEMONE E BAUCI
Narra dunque Ovidio che Giove e suo figlio Mercurio, senza farsi riconoscere, si recarono nel territorio della Frigia (una regione rurale dell’odierna Turchia). Non trovarono però facile accoglienza:
A mille case si affacciarono, chiedendo un luogo per riposare. Mille case furono sprangate con catenacci. Ma una li accolse, piccola davvero, coperta da stoppie e da canne di palude: però in essa, negli anni giovanili, si unirono Bauci, ora vecchia, Filemone, di pari età; in quella casa invecchiarono, e la povertà, accettandola e sopportandola con animo sereno, resero lieve. Non ha senso cercare là dentro padroni o servitori; due persone sono l’intera famiglia; essi comandano e sempre essi ubbidiscono. (vv. 678-686)
La casa è tanto piccola che i due ospiti per entrarvi sono costretti ad abbassare la testa… Non di meno, l’accoglienza è sollecita e generosa. Il vecchio fa sedere i due forestieri, mentre Bauci è affaccendata al focolare. A leggere, ne ricaviamo una dettagliata ricetta di spalla di maiale affumicata cotta in brodo aromatizzato, quindi gli ingredienti per una gustosa “insalatona” di erbe di campo arricchita di uova e olive; e poi noci, e fichi secchi (tutti cibi non propriamente romani, come si conviene a una mensa “esotica”). La tavola risulta in verità un po’ instabile, ma si rimedia mettendo un coccio sotto il piede più corto. Insomma: un perfetto quadretto rustico.
I due vecchietti cominciano a sospettare che ci sia qualcosa di strano quando si accorgono che il cratere del vino, tante volte giunto al fondo, spontaneamente si riempie di nuovo. Temono sia un segno avverso, forse una punizione per quelle troppo rustiche vivande. Bauci prende allora una drastica decisione: cucinerà per gli ospiti l’oca (l’unica che possiedono!) che vigila sull’umile casa. Ma l’oca sfugge, svolazza ben più svelta dei proprietari che la inseguono invano, impediti dall’età, finché si rifugia proprio presso i due celesti ospiti, che finalmente svelano la propria identità: «Siamo dèi!»
Gli dèi pagani sono sempre vendicativi: gli empi vicini saranno puniti per il loro egoismo con la distruzione di tutte le loro case, e solo i due vecchi coniugi saranno risparmiati. Così Filemone e Bauci, per mettersi in salvo, si avviano faticosamente verso la cima della collina lì presso, voltandosi a guardare indietro sgomenti: ogni cosa alle loro spalle è sommersa in una palude, e soltanto rimane intatta la loro capanna. Mentre i due piangono la sorte dei loro vicini (e ci paiono tanto più “umani” degli dèi…), quella vecchia capanna si trasforma in un tempio, con tanto di colonne e porte intagliate e pavimenti di marmo. «Qual è il vostro desiderio?» chiede infine Giove. La risposta è concorde:
«Chiediamo di essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio; e poiché, uniti di cuore, abbiamo trascorso i nostri anni, una medesima ora ci sottragga tutti e due: che io non veda mai il rogo di mia moglie, né io da lei sia sepolto». (vv. 707-710)
Ed ecco infine la conclusione della storia: una conclusione gentile, una trasformazione doppia e parallela che suggella l’indissolubilità dell’unione dei due “corpi”:
Ai voti seguì il compimento. Furono custodi del tempio, finché loro fu concessa vita. Sfiniti dagli anni e dall’età, mentre per caso sostavano ai sacri gradini e narravano le vicende del luogo, Bauci vide che Filemone metteva frondi; il più vecchio Filemone vide che metteva frondi Bauci. E mentre già la cima andava crescendo sui volti d’entrambi, essi si scambiarono, finché poterono, mutue parole; e: «Addio, o consorte» insieme dissero; e insieme la corteccia coperse e cancellò le loro bocche. Ancora l’abitante di Tino addita colà i tronchi avvicinati, che furono i loro due corpi. (vv. 711-720. I passi nella traduzione in prosa sono tratti da Ovidio, Le Metamorfosi, testo latino a fronte, 2 voll. a cura di Enrico Oddone, Bompiani, Milano 1992)
Quelli che nella conclusione sono detti genericamente «tronchi avvicinati», all’inizio della storia – che qui non ho riportato – venivano invece specificati come una quercia e un tiglio, ancora visibili – si dice – ai viandanti che si recano in quelle terre. La quercia è emblema della durevolezza, della forza, della fedeltà («fedele come una quercia» sarà poi un motto del Romanticismo). Il tiglio è pianta molto longeva, dal profumo intenso, spesso assimilata all’amore per via delle foglie cuoriformi. Insomma: Ovidio non sceglie per le sue metamorfosi delle piante qualsiasi, ma alberi con significati ben definiti.
Raccontata da Maria Rosa Tabellini Partini
Aderisce al coordinamento provinciale di libera
Presso bottega
di Libera Terra, via
Lucherini,12
Siena@Libera.it
Articoli del mese
LA VITA – Per quanto sta in te
Per quanto sta in te – (La Vita) di Kostantinos Kavafis
mariarosa tabellini ha inserito un commento su La Liturgia di Domenica 25 Agosto 2019
“Per quanto sta in te”: la vita per Kostantinos Kavafis
E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti
sino a farne una stucchevole estranea.
(da C. Kavafis, Settantacinque poesie, trad. N. Risi e M. Dalmàti, Einaudi, Torino, 1992)
È un appello a non sciupare la vita (il verbo è ripetuto due volte, al v. 3 e al v. 6) «in un viavai frenetico», in un continuo avvicendarsi («commercio») di gente incrociata per caso.
Tra il primo verso e quello finale si crea un collegamento: la vita è personificata, quasi fosse una donna, ed è come se il poeta dicesse: se non puoi avere la donna (o la persona) che desideri, almeno fa’ in modo che essa non sia un incontro superficiale lasciato in balia del caso (il «quotidiano / gioco balordo degli incontri / e degli inviti») e nemmeno un’estranea noiosa e assillante («una stucchevole estranea»). Forse la vita non sarà ugualmente quella che avremmo voluto vivere (quale sarebbe, poi?), ma almeno non l’avremo sprecata.
Commento
La parola-chiave di questo componimento è il verbo “sciupare”. Kavafis sottolinea a più riprese questo concetto: nel nostro andare, trascinarci apatici nella quotidianità noi sciupiamo la vita.
La vita è l’essenza di ognuno di noi, ci appartiene come nient’altro su questa Terra, eppure sempre ci dimentichiamo che svilendola, offendendola, barattandola, spendendola “in un viavai frenetico” semplicemente strappiamo qualcosa a noi stessi.
Se di tanto in tanto potessimo uscire dalla nostra condizione e guardarci dall’esterno, come forestieri in una terra sconosciuta, senza dubbio ci accorgeremmo che ci affanniamo per cose inutili, che corriamo dietro illusori ideali, che cerchiamo di ottenere ciò che non ci serve. Diventiamo fantocci di noi stessi.
“Fermati”, sembra quasi che il poeta suggerisca ad ognuno di noi, “fermati e pensa”: pensa prima di gettarti nella massa informe di gente, prima di sprecare parole insensate, prima di considerare che ogni giorno è uguale a quello precedente e a quello che verrà. Certo sì la vita è contraddittoria e talvolta ingannevole, ma è irripetibile.
È la nostra più grande alleata, non una “stucchevole estranea”.
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