
Il Canto Gregoriano: un canto antico ma sempre attuale. Esperienza nella nostra comunità parrocchiale
(a cura di Stefano Chini)
Capitolo 1
INTRODUZIONE
Cosa cantiamo oggi?”.
E’ la fatidica domanda che i vari cori parrocchiali e l’animatore liturgico di turno si pongono spesse volte pochi minuti prima che la celebrazione abbia inizio. Spesso si canta ciò che più ci piace, senza minimamente considerare la liturgia del giorno. Tuttavia, se si desidera che il canto sia parte integrante del rito liturgico e non un semplice decoro o intrattenimento, occorre avere un certo tempo a disposizione per formulare una accorta lista di canti. Certo il lavoro più importante è a monte: bisogna passare al setaccio ciò che abbiamo in repertorio, spesso limitato e molte volte non soddisfacente ai vari momenti dell’anno liturgico. Ed allora perché non integrare il nostro repertorio di canti gregoriani di facile lettura e di facile interpretazione? Ma quali C. G.? Certamente sarà difficile proporre alle nostre assemblee (in modo particolare ai coristi e “suonatori”), canti gregoriani complessi, ma perché non proporre melodie più semplici e magari, successivamente, anche qualcosa di più importante? Non voglio essere un nostalgico del gregoriano, ma si può e si deve mirare ad un “recupero culturale del C. Gregoriano” e al grande valore liturgico che rappresenta. Perché, allora, proporre oggi Canti Gregoriani? A questa domanda ci viene in aiuto il Prof. Giacomo Baroffio che individua tre motivi per cui nel terzo millennio ci si può interessare al Gregoriano :
” 1)motivo spirituale, 2) motivo culturale 3) motivo antropologico”.
Ma quando si parla di inserire un canto gregoriano nelle comunità parrocchiali, spesso il coro storce il naso, considerandolo un canto noioso, privo di ritmo, senza chitarre e via dicendo. Da cosa può derivare questa “ allergia al canto gregoriano”. Forse una bella risposta è stata data da Papa Benedetto XVI in un incontro con addetti alla musica liturgica, “….è mio fermo convincimento che nella Chiesa cattolica l’impegno musicale sia scarso….dove non c’è profondo interesse per la musica sacra è perché prima ancora non c’è attenzione alla liturgia”e ancora “il canto gregoriano costituisce un’esperienza fondamentale e ancora attuale nella vita della Chiesa” Quanto sopra deve farci riflettere, nelle comunità parrocchiali conosciamo bene la liturgia? C’è l’intenzione di impegnarci musicalmente e liturgicamente in modo di tramandare il canto proprio della chiesa, anche nelle piccole comunità parrocchiali e alle nuove generazioni? Eppure documenti che ci invitano a farlo ce ne sono molti, partendo dal Motu Proprio, al S.C., al Musicam Sacram e via dicendo..Ma allora cosa fare! Certo i tentativi del passato non sono certamente esaltanti. Mi ricordo, nella mia piccola parrocchia di campagna, che i tentativi di cantare gregoriano,erano a dir poco deludenti. Canti eseguiti con una certa approssimazione dal parroco, sostenuto da qualche pia donna dotata di particolare attitudine canora ; … o, anche più recentemente in comunità parrocchiali più importanti, certe Messe ‘De Angelis’, urlate a ‘furor di popolo’ per non dire dello straziante latino. Però ad onor del vero, devo dire, che in entrambi i casi si percepiva la voglia, l’amore e la volontà di mantenere vivo questo canto. Alla luce di quanto sopra, oggi, vi è la volontà di mantenere ancora in vita il C.G.? E’ possibile che questo meraviglioso canto diventi qualcosa di più ? Potremmo sperare in una sua decorosa esecuzione nelle comunità parrocchiali ? Avremmo la forza e la voglia di mettere in pratica quanto il S.C. ci esorta a fare in merito al C.G.? Ai posteri l’ardua sentenza. A noi la volontà di non esiliare il canto proprio della chiesa, ma mantenerlo presente, ma soprattutto, recuperarlo in funzione della motivazione originale per cui è nato: la liturgia. In questa mia trattazione, cercherò di mettere in evidenza, un piccola riscoperta del C.G., e come potremmo proporlo oggi. Cercherò di mettere in evidenza quanto sia importante l’impegno di noi animatori liturgici nel curare la sua intonazione, la partecipazione dell’assemblea, la corretta esecuzione e così via. E’ proprio sulla corretta esecuzione che il Dott. Joseph Gajard musicologo francese e monaco benedettino definisce il canto gregoriano “..una preghiera, un modo per andare a Dio e per questo motivo, esso deve essere eseguito con molto rispetto della tecnica e dello spirito”. A noi l’impegno.
Capitolo 2
"Cenni Storici"
Il canto gregoriano è un genere musicale vocale, monodico e liturgico, è il “canto della parola” della liturgia della chiesa romana.
La funzione primaria del canto gregoriano è quella di essere veicolo di cui il Verbum si serve per comunicare con il suo popolo e diventare sacramento di salvezza, e la forma più piena ed elevata di preghiera del popolo di Dio, per comunicare con Lui.
Il canto gregoriano, è solitamente interpretato da un coro o da un solista chiamato cantore (cantor) o spesso dallo stesso celebrante con la partecipazione di tutta l’assemblea liturgica, finalizzato, quindi, a sostenere il testo liturgico in latino.
Il canto gregoriano, ossia il repertorio musicale proprio del rito romano, viene così chiamato in onore del suo presunto autore, il papa Gregorio I, meglio noto come Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, dottore della Chiesa, santo per cattolici ed ortodossi. La tradizione vuole che questo grande pontefice riformatore, monaco benedettino, abbia scritto nel 590 un Antiphonarium nel quale indicò le regole fondamentali per il canto liturgico, che prese quindi da lui il nome.
La sua nascita in occidente, avviene nel secolo VIII, a Metz, in Lorena, dall’incontro tra la tradizione liturgico-musicale romana e quella gallicana (francese) a sostegno e ornamento di testi liturgici per la gran parte di origine biblica.
Il repertorio nei secoli si è allargato e modificato diventando il canto liturgico universale della chiesa di lingua latina.
La complessità delle formule melodiche e l’allargamento incredibile del numero dei brani e delle forme musicali ne ha favorito una precoce decadenza, aggravatasi nei secoli, nonostante i ripetuti tentativi di riforma.
Agli inizi del novecento, per correggere gli abusi liturgico-musicali allora in essere, si affermò il movimento ceciliano. In quel periodo il canto gregoriano venne restaurato grazie a faticose verifiche storiche e filologiche, a coronamento delle quali, vennero pubblicati il Graduale e il Liber usualis.
L’allora Papa Pio X, nell’offrire la sua approvazione ai ceciliani e alla riscoperta del canto gregoriano, pubblicò il 22 novembre 1903 il “motu proprio Tra le sollecitudini”.
Nel suo Motu Proprio indicò: “Si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi”.
Il Concilio Vaticano II, riferendosi alla partecipazione liturgica nel paragrafo 116 della Costituzione Sacrosanctum Concilium (SC) riserva alcune parole al canto gregoriano, riconoscendolo come “canto proprio della liturgia romana” e che pertanto “a parità di condizioni” ad esso deve essere riservato il “posto principale”.
Le condizioni alle quali SC si riferisce riguardano la possibilità di favorire la partecipazione così come intesa nel documento: una partecipazione attiva (SC 11, 14, 19, 21, 27, 30, 41, 48, 50, 113, 114, 124), piena (SC 14, 17, 21, 41), che richiede un coinvolgimento integrale della persona (interna ed esterna: SC 19; consapevole: SC 11, 14, 28), il più possibile comunitaria (SC 21, 26, 27, 42), accessibile ai fedeli (facile: SC 50, 79), ma che necessita di un intenso atteggiamento spirituale (pia: SC 19), proporzionata all’età, alla condizione, al genere di vita e gradi di cultura (SC 19). Con oggettività, pertanto, occorre verificare le “pari condizioni”, cioè se sia opportuno utilizzare il canto gregoriano piuttosto che interventi canori di altro genere.
Per concludere questa breve nota storica, c’è da ricordare che il canto gregoriano come lo vediamo ad oggi, probabilmente non corrisponde a quello che i monaci altomedievali cantavano.
Nel tempo, al repertorio tardo antico, si aggiunsero infatti nuove melodie, composte nel Basso Medioevo o nel Rinascimento, alcuni addirittura si spingono al XVI secolo; i canti esistenti, inoltre, furono modificati e adattati, talvolta rielaborati in forme polifoniche misurate (organum). Alcune composizioni tardo-gregoriane, come ad es. la Missa VIII de Angelis, perdono le caratteristiche proprie del gregoriano, in particolare la struttura armonica modale.


Infine, ad un’attenta verifica, bisogna ammettere la difficoltà ad ipotizzare che il canto gregoriano possa essere largamente impiegato nel canto liturgico odierno, anche se la sua totale sparizione appare del tutto ingiustificata, frutto di preconcetti più che di discernimento oculato.
Pur procedendo con prudenza, non è affatto difficile trovare in quel repertorio fra gregoriano e “neo-gregoriano”qualche “perla” che possa ancora oggi favorire la vera partecipazione liturgica e possa essere “tranquillamente” cantata, compresa ed interiorizzata da tutta l’assemblea.