La vita va presa sul serio: questo è il messaggio che, a mio parere, emerge dal Libro della sapienza. Va presa sul serio anche quando le circostanze sembrano sviare o addirittura soffocare la volontà di giustizia, di misericordia… Un messaggio che trovo riproposto, in senso laico, da Nazim Hikmet, un poeta sul quale si è accanita la durezza del potere dittatoriale, e che, tuttavia, in carcere ha scritto poesie che rimangono come inni senza tempo all’amore, alla giustizia, alla vita. Come questa che riporto qui di seguito, a commento del passo di Salomone.
Nazim Hikmet
La vita non è uno scherzo…
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’aldilà.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita sulla bilancia
peserà di più.
(da “Poesie d’amore”, traduzione di Joyce Lussu, Mondadori, Milano 2006)
L’autore. Nato a Salonicco nel 1902, quando la città appartava alla Turchia, Nazim Hikmet fu un esponente d’avanguardia nella cultura turca. Malvisto per aver denunciato pubblicamente i massacri del popolo armeno del 1915-1922, dovette trasferirsi in esilio volontario in Russia, paese verso il quale lo spinse anche la simpatia per la recente rivoluzione ispirata al marxismo. Tornato in patria nel ’28, per la sua opposizione alla dittatura di Kemal Atatürk si trovò sotto la costante sorveglianza da parte della polizia e ripetutamente incarcerato con vari pretesti, senza peraltro smettere di scrivere. Nel 1938 la condanna fu più dura: accusato di istigare con le sue opere alla rivolta, fu condannato a 28 anni di carcere (cosa che dimostra quanto il potere di ogni tipo tema la penna degli scrittori che si esprimono liberamente). In prigione rimase quattordici anni, e vi scrisse le opere più belle. Fu rimesso in libertà nel 1950, per le pressioni di una commissione internazionale che comprendeva anche il pittore Pablo Picasso. Trovò infine rifugio a Mosca: da qui intraprese frequenti viaggi in Europa, e a Mosca morì, nel 1963, dopo una delle molte crisi cardiache che ne avevano segnato l’esistenza.